INTERVISTA - APRILE 2006

Intervista a


GIOVANNI UMBERTO BATTEL

Rosanna Bruno – Accademia Musicale Mediterranea - Taranto - Aprile 2006

È stata una bella e piacevole scoperta quella di fare la conoscenza del M° Giovanni Umberto Battel che, nel Marzo scorso, è stato ospite della nostra Accademia per svolgere la Master Class di pianoforte. Il tempo a nostra disposizione , per comprendere meglio la persona oltre che l’artista, è stato davvero poco, ma attraverso l’intervista di seguito riportata, è possibile conoscere il suo aspetto più sensibile e più umano, oltre a quello prettamente professionale.

D: Maestro, quando ha capito che, nella vita, avrebbe fatto il pianista?

R: Dopo aver sostenuto, a sedici anni, appena conclusa la Prima Liceo classico, l’esame di compimento medio a Venezia, da privatista, ottenendo il massimo dei voti. In quella occasione conobbi Luciano Gante, commissario esterno, che diventò il mio maestro; sia lui che gli altri commissari presenti all’esame mi invitarono a continuare con passione perché “ne sarebbe valsa la pena”.

D: So che Lei ha intrapreso gli studi pianistici con suo padre. Ha un aneddoto da raccontarci?

R: Premetto che ho sempre avuto la convinzione di dovere tutto a mio padre. Mi ha aiutato e sostenuto in ogni momento della vita e dell’iniziale carriera. Ha potuto farlo perché era dotato di uno splendido talento musicale, come compositore, pianista e insegnante. Le sue doti di improvvisatore erano assolutamente fuori dal comune ed io, man mano che crescevo e maturavo come musicista, vedevo aumentare in me stesso la stima e l’ammirazione per mio padre. L’unico rammarico è che se ne è andato troppo presto, perdendo l’opportunità di gustare quelle che sarebbero state, per lui,grandi soddisfazioni, nel vedere i miei traguardi sia musicali che esistenziali. Grazie a lui, fin da bambino, sono stato abituato alle sonorità dissonanti e, più in generale, ad apprezzare la letteratura moderna. A questo proposito ho un dolcissimo ricordo musicale di quando avevo appena quattro anni: era la mia prima esibizione pubblica, suonai un breve brano, scritto da mio padre per l’occasione, “La danza dell’elefante”, ed ero talmente piccolo da non arrivare ai pedali dello strumento e da stare in bilico sul seggiolino. Al termine dell’esecuzione una gentile signora del pubblico, complimentandosi per la mia prova, disse ad altri suoi amici presenti in sala: “Che bravo il figlio del Maestro, così piccolo e già suona a memoria, peccato che abbia sbagliato tutto…”. In realtà la mia esecuzione fu perfetta, solo che il breve brano scritto da mio padre conteneva una serie di dissonanze che, per la gentile signora, erano apparse come mie “stecche”!

D: Cosa consiglierebbe a tutti quei genitori musicisti che desiderano trasmettere la passione per la musica ai propri figli?

R: Di comportarsi come hanno fatto i miei genitori: in primo luogo stimolare la passione per la musica attraverso le opportunità che si possono presentare in famiglia e fuori, in secondo luogo aiutare i figli a intraprendere lo studio di uno strumento senza forzare e senza creare obblighi insopportabili, in terzo luogo essere presenti indirettamente e con discrezione nei momenti di difficoltà nello studio e nei momenti di soddisfazione e di successo, infine non considerare la rara possibilità di intraprendere una carriera musicale professionale come un obiettivo, il vero obiettivo deve essere solo quello di raggiungere la capacità di conoscere ed apprezzare le gioie del linguaggio musicale, che non si svela certo a tutti.

D: Che ricordo ha dei suoi insegnanti?

R: Un ricordo vivo ed entusiasta: di mio padre ho già parlato, un musicista completo, non passava giorno che non ci scambiassimo qualche opinione su argomento musicale anche con una semplice telefonata; del maestro Luciano Gante ricordo la guida sicura e determinata per intraprendere la strada del concertismo, irta

di difficoltà, all’insegna della competizione, unica via onesta per emergere; di Lya De Barberiis ho ammirato la vastità del repertorio, il desiderio di lavorare con adeguate conoscenze e senza superficialità o facili istinti su ogni autore, da Mozart ai contemporanei, la sua voglia di vivere, di studiare e di andare sempre avanti con impegno e fiducia nell’attività musicale.

D: Secondo lei, la musica mantiene giovani?

R: Certamente, come qualsiasi attività intellettuale, con il vantaggio che fare musica, oltre ad essere stimolante per la mente, crea piacere.

D: Svolge un’intensa attività concertistica, sia come solista che con orchestra e in formazione cameristica, in Italia e all’estero.

Qual è il concerto che ricorda con maggior soddisfazione?

R: Ripercorrendo a ritroso molti anni di attività artistica mi accorgo che ogni concerto ha creato un ricordo ricco di soddisfazione, proprio perché il concerto rappresenta sempre un momento unico e un punto d’arrivo, ma nello stesso tempo un momento di transizione verso nuove mete: c’è la soddisfazione per il livello raggiunto, per la felicità del pubblico che comunica il proprio entusiasmo in sala o in camerino, ma il giorno dopo ricompare il desiderio di migliorare e di crescere, e tutto ricomincia.

D: Qual è il suo compositore preferito?

R: Dice ironicamente un mio amico compositore: “Quello che ancora non è nato”. Ho sempre avuto l’impressione di appassionarmi alla musica che sto studiando in quel particolare momento, questo perché con la conoscenza cresce anche l’apprezzamento. Quando ciò non accade allora posso dire che quel compositore o quella musica non mi piace, ma mi è accaduto di rado e forse in occasione di opere di livello discutibile.

D: Che rapporto ha con la musica contemporanea?

R: Di curiosità e di interesse, coltivato da sempre, con l’unico rammarico che la proposta in pubblico, che ho curato più volte, è poco seguita, in modo ancora meno diffuso rispetto alla già poco popolare musica d’arte.

D: Il momento ideale per suonare?

R: Qualsiasi, l’importante è il desiderio e il silenzio.

D: Un sacrificio che ha fatto per la musica?

R: Uno dei tanti: rinunciare a sedici anni ai pomeriggi con gli amici, rientrando a casa per studiare il pianoforte.

D: Una pazzia che ha fatto per la musica?

R: Destinare buona parte del restauro del rustico dove abito alla creazione di una sala per i miei pianoforti.

D: Se potesse vivere in un’altra epoca?

R: Anche se la musica non è certo al primo posto negli interessi dei nostri contemporanei e anche se considero la musica commerciale come il più grande nemico della conoscenza, mi piace l’epoca in cui vivo.

D: Quali considerazioni ha maturato dall’esperienza vissuta durante la Master Class tenuta presso l’Accademia Musicale Mediterranea ?

R: Il piacere nel vedere l’impegno e la solida preparazione dei giovani studenti e dei loro insegnanti, unito al desiderio di confrontarsi e di mettersi in discussione.

D: Che rapporto ha con i suoi allievi?

R: Di affetto, di grande partecipazione ma mai di eccessiva confidenza: sono convinto che, anche se non dare confidenza appare come una difficile rinuncia per il vero maestro, propenso a donare tutto se stesso, la capacità di apprezzare tale generosità sia così rara da rendere fallimentare la quasi totalità dei rapporti fondati sulla confidenza tra maestro e allievo.

D: Ci dica un suo pregio…

R: La capacità di slancio ideale.

D: …E un suo difetto!

R: L’egocentrismo.

D: Il suo strumento preferito?

R: Non c’è dubbio, il pianoforte, ma se allarghiamo la prospettiva, la voce.

D: Il concerto che più l’ ha emozionata.

R: Un concerto di Maurizio Pollini, ascoltato qualche anno fa a Venezia, che ha rappresentato una conferma, a distanza d’anni, di un’ammirazione coltivata da bambino.

D: Cosa vorrebbe fare che ancora non ha fatto?

R: Studiare il repertorio che mi sono prefisso di suonare ma che ancora non ho avuto il tempo di preparare.